Circ. 9-2012 – Art. 55 Codice Deontologico Forense

Nuovo testo dell’art. 55 codice deontologico forense

Con delibera 16 dicembre 2011 il Consiglio Nazionale Forense ha riscritto il testo dell’art. 55 del codice deontologico, al fine di armonizzarne il contenuto con l’art. 55 bis (mediazione), recentemente introdotto.
L’occasione è idonea per commentare l’intero articolo, finalizzato a garantire l’imparzialità del professionista che sia chiamato al delicato compito di giudicare, rispetto a tempi ormai andati nei quali l’arbitro nominato da una delle parti tendeva a supportare la posizione di chi lo aveva designato, piuttosto che a decidere autonomamente.
Come è noto, i singoli articoli del codice sono composti da regole deontologiche e canoni complementari. La regola generale indica il principio astratto, il canone complementare tipizza i comportamenti più ricorrenti[i].
La regola generale dell’art. 55 (rimasta invariata) recita:
L’avvocato chiamato a svolgere la funzione di arbitro è tenuto ad improntare il proprio comportamento a probità e correttezza e a vigilare che il procedimento si svolga con imparzialità e indipendenza.
La giurisprudenza disciplinare ha così affermato che “Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che, dopo aver presieduto il collegio arbitrale incaricato di risolvere il conflitto fra le due parti contrapposte, assuma la difesa degli interessi di una parte contro l’altra, anche se in buona fede” (CNF 15 maggio 1996, n. 66).
“Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che nominato in un collegio arbitrale, non collabori tempestivamente con i colleghi componenti del collegio, facendo scadere inutilmente il termine per l’arbitrato medesimo, e comunichi alla parte che lo aveva nominato arbitro, e al suo difensore, la corrispondenza scambiata con gli altri componenti del collegio arbitrale” (CNF 14 maggio 2003, n. 93).
“Pone in essere un comportamento deontologicamente censurabile, ai sensi degli artt. 55, I e II comma, e 6 c.d.f., il professionista che, nominato in sede contrattuale arbitro unico, pur formalmente sfiduciato da una delle parti non rinunci all’incarico ricevuto e, anzi, dia corso al procedimento arbitrale emettendo il relativo lodo” (CNF 6 dicembre 2006, n. 138).
“Viene meno ai doveri di correttezza e diligenza l’avvocato che, quale componente di un Collegio arbitrale, ingiustificatamente ometta di prendere parte alle riunioni del Collegio alle quali era stato convocato, con ciò omettendo di adempiere alla funzione affidatagli e arrecando pregiudizio al regolare svolgimento del procedimento arbitrale” (CNF 18 dicembre 2009, n. 180).
Gli indicati doveri non riguardano soltanto il comportamento nel corso del mandato arbitrale, ma anche quello successivo, con efficace esempio relativo al compenso:
“Il professionista che rifiuti i chiarimenti richiesti dal cliente in merito alla notula presentata per il pagamento di prestazioni rese quale arbitro unico, che non presenti, pur invitato a farlo, un rendiconto dell’attività svolta, che utilizzi come titolo esecutivo per la riscossione del proprio compenso il lodo arbitrale e che rifiuti di sottoporre a controllo di legittimità e alla valutazione del Presidente del Tribunale la congruità del compenso richiesto, tiene un comportamento non conforme alla dignità e al decoro professionale e merita la sanzione dell’avvertimento” (CNF 18 marzo 1989, n. 57).
E ancora, il comportamento di chi utilizzi a scopi propagandistici la propria esperienza e/o attività di arbitro:
“Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché in contrasto con il dovere di indipendenza e probità propri della classe forense, l’avvocato che, sottoscrivendo una convenzione con l’associazione “giudici arbitrali”, si obblighi a utilizzare per l’ufficio la denominazione “forum arbitrale”, a rispettare l’esclusiva dell’attività con detta associazione, a fornire consulenza obbligatoria, indistintamente, a tutti gli utenti dell’associazione e, da ultimo, consenta alla pubblicità dell’attività attraverso il volantinaggio, così ponendo in essere una forma di accaparramento di clientela e di pubblicità vietata” (CNF 11 aprile 2003, n. 60).
Per completare l’esame della regola, mi sembra significativa questa motivazione:
“L’art. 55 c.d.f., anche a seguito delle più recenti modifiche che pur hanno mantenuto sostanzialmente invariata la regola disciplinare ed una indicativa e non tassativa tipizzazione dell’illecito nei canoni complementari, enuncia un principio che impone l’indipendenza e l’imparzialità dell’arbitro, senza distinzione né tra arbitro rituale e irrituale, né tra il ruolo di presidente o di arbitro di parte, cosicché l’arbitro non soltanto deve essere indipendente e imparziale, ma deve anche apparire tale, perché possa svolgere la sua funzione in un ruolo di terzietà, con il necessario distacco dalle parti e dai loro difensori. Inoltre, i doveri di dignità e decoro (art. 5 c.d.f. e art. 12 legge professionale) impongono a chi è chiamato a svolgere tali funzioni di evitare comportamenti virtualmente idonei a pregiudicare l’immagine di un ruolo che, anche per il rilievo pubblicistico che l’ordinamento gli attribuisce, deve garantire alla società e ai cittadini, oltreché alle parti, la massima affidabilità ed imparzialità nell’applicazione della legge e nella attuazione della giustizia. Costituiscono pertanto circostanze intrinsecamente incompatibili con i doveri imposti all’arbitro dalle suddette norme deontologiche la condivisione dei locali dello stesso studio con il difensore delle parti, la nomina proveniente dalle parti con l’assistenza dello stesso difensore, il rapporto personale già esistente tra difensore e arbitro con il matrimonio celebrato subito dopo la nomina ad arbitro e prima della costituzione del Collegio, nonché il successivo mantenimento dell’incarico” (CNF 2 novembre 2010, n. 196).
Passando ai canoni complementari, troviamo le modifiche, modellate sulla falsariga dei rapporti dell’avvocato con ex clienti e dell’avvocato mediatore. Deve quindi evitarsi il conflitto di interessi che deriva dai rapporti professionali in corso e anche da quelli esauriti, ma entro il limite temporale, già noto perchè applicato nelle altre ipotesi citate, dei due anni.
Per evitare aggiramenti della regola (non posso farlo io, quindi nomina come arbitro il mio amico) il divieto riguarda anche clienti ed ex clienti dei soci, associati o semplici colleghi di studio.
Inoltre, l’avvocato che abbia svolto le funzioni arbitrali, e i suoi colleghi o associati, non potranno instaurare rapporti professionali successivi con le parti, e ciò ancora per due anni.
Come abbiamo accennato in premessa, questi canoni complementari sono ispirati ai casi già verificatisi. Vediamone alcuni.
“Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che assuma la funzione di arbitro pur avendo avuto o avendo rapporti professionali con una delle parti in causa” (CNF 10 dicembre 2007, n. 189).
“Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che assuma la funzione di arbitro se abbia o abbia avuto rapporti professionali con una delle parti che possano pregiudicarne l’autonomia e ledere i doveri di indipendenza e imparzialità propri della funzione arbitrale ricoperta, o se una delle parti del procedimento sia assistita da altro professionista di lui socio o con lui associato ovvero che eserciti negli stessi locali” (CNF 21 settembre 2007, n. 121).
“Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo del dovere di indipendenza e imparzialità, l’avvocato che assuma la funzione di arbitro pur essendo il difensore di una delle parti in altro procedimento, a nulla rilevando che egli in realtà non abbia svolto funzioni difensive ma sia stato un semplice domiciliatario” (CNF 10 novembre 2004, n. 269).
La modifica conferma che l’avvocato dovrà comunicare per iscritto alle parti le eventuali ragioni ostative alla sua nomina, per ottenerne il consenso; ma non potrà mai superare i limiti dettati dall’art. 815, primo comma, cod. proc. civ. (interesse, parentela, causa pendente ecc.).
Il consenso delle parti (ovviamente di entrambe) può dunque avere una sua rilevanza, deducibile dalla prossima massima che riguarda assunzione di incarico contro ex cliente, ma che può comunque orientarci:
“Il precetto deontologico di cui all’art. 51 c.d. non consente all’avvocato di assumere incarichi contro ex clienti, a meno che sia decorso un ragionevole periodo di tempo, l’oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello espletato in precedenza e non vi sia possibilità, per il professionista, di utilizzare notizie precedentemente acquisite. Conseguentemente, pur quando non ricorrano nella fattispecie tutte le condizioni innanzi richiamate, il rigido tenore della predetta norma può indubbiamente ritenersi superato allorché il soggetto – alla cui tutela la norma è in parte orientata -, autorizzando espressamente il professionista a non tener conto del divieto, lo libera dal vincolo deontologico impostogli dal precetto” (CNF 22 ottobre 2010, n. 120).
Ma in generale, il suggerimento è quello di gestire la nomina, oltre che nel rigido rispetto della regola deontologica, soprattutto con trasparenza ed equilibrio.
E senza esagerare, perché… “Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante e lesivo del dovere di correttezza e autonomia propri della classe forense l’avvocato che, nominato arbitro unico, non comunichi di aver assunto in precedenza un incarico professionale da una delle due parti in causa, ma anzi, successivamente alla nomina, assuma altro incarico professionale dalla medesima parte” (CNF 8 novembre 2001, n. 229)!